Itinerari nel Parco Naturale delle Capanne di Marcarolo
I comuni interessati sono Bosio, Casaleggio Boiro, Lerma, Mornese, Tagliolo Monferrato, Fraconalto e Voltaggio. Il Parco Naturale delle Capanne di Marcarolo è una piccola parte di Piemonte che volge, attraverso le giogaie, a pochi chilometri dal mare ligure. L’area è attraversata dai torrenti Piota e Gorzente, l’alta Val Lemme e un tratto della Valle Stura. Il parco è attraversato, tra le Valli Scrivia e Stura, da una strada che dalla pianura porta, attraverso i Piani di Praglia, al mare lungo le Valli Verde e Polcevera. Zona montuosa a ridosso del mare, dove il clima crea condizioni particolari con contrasti termici. Non a caso il parco è ricco di torrenti e rii sempre in movimento e mai secchi, alimentati dalla pioggia. Chi attraversa questo territorio noterà la presenza massiccia di rocce che in molti punti non permette lo sviluppo della vegetazione e crea un paesaggio spoglio. Caratteristica di questo territorio sono le tante cascine dislocate lungo tutto il parco: molte erano abbandonate fino a pochi anni orsono, ora stanno seguendo un percorso di ristrutturazione e trasformazione a villette private, tanto che alcune strade sterrate sono state ampliate a loro spese. Molte conservano la struttura a due corpi: abitazione e la stalla o fienile. Finestre piccole, tetti spioventi e la immancabile scala per accedere al piano superiore. La funzione delle cascine cambiò durante gli anni passando da centri agricoli con lo sfruttamento, seppur mediocre, della terra alla produzione di castagne, abbandonata per lo sfruttamento dei boschi come fonte di energia per le ferriere e la costruzione dei remi e delle navi. Richiesta sempre più pressante da parte dei nobili della Repubblica di Genova. In pratica gli imprenditori locali erano diventati dipendenti e affittuari delle cascine che lavoravano appunto per i nobili. Lo stemma degli Spinola, i maggiori possidenti, è ancora visibile su alcune cascine. La situazione rimase invariata per moltissimo tempo fino a quando la drastica riduzione della costruzione delle navi ha costretto gli abitanti a lasciare il territorio: la mancanza di lavoro, unita alla diffusione della malattia dei castagni, ha messo in crisi tutto il territorio, con il seguente abbandono. Addirittura, e soprattutto nella famiglia degli Spinola, le terre erano ridotte a una semplice riserva di caccia. Al centro parco si trovano i laghi artificiali del Gorzente che, unito a quello della Lavagnina, hanno cambiato profondamente l’aspetto del territorio. Ne parliamo più avanti. Il paese di riferimento è la frazione di Capanne, che in tutto il Medioevo è stato il centro e l’incrocio delle tante strade commerciali che collegavano Genova al Monferrato attraverso l’Oltregiogo. Caso a parte è il Passo della Bocchetta che collegava la Pianura Padana. La frazione del Comune di Bosio è costituita da un insieme di cascine sparse e da un nucleo principale dove si trova la Chiesa di Santa Croce e la Locanda degli Olmi dove si può fare una sosta. Nelle vicinanze si trova la Sede Operativa del Parco e Centro Visitatori. Da qui partono i percorsi verso i Laghi del Gorzente (Cascina I Foi) e per il Monte Pracaban. Le Capanne Superiori di Marcarolo, chiamata anche Capannette, sono vicine alle Capanne di Marcarolo. Luogo immerso su splendidi prati, è composto da alcune cascine. Da qui partono (Cappella dell’Assunta) i percorsi verso i Laghi del Gorzente. Alle Capanne Superiori si trovano le Cascine Saliera e Salera, entrambe sede medievale di depositi del sale, che ci portano alle antiche vie del sale. Nei pressi, lungo la strada per i Piani Praglia, si trova la “Benedicta”, antico insediamento monastico che aveva anche funzione di ospitalità per i mulattieri e per i religiosi.
Il Parco è un’area montana dominata dalla vetta del Monte Tobbio, raggiungibile, da tutti i versanti, tramite sentieri ripidi che culminano alla vista della chiesetta posta sulla cima. Dal Parco, in età medioevale, transitava la “Via Cabanera” una alternativa di passaggio per commercianti del sale, pellegrini e guerrieri, un segno di questo passaggio rimane nel monastero della Benedicta, tra l’altro nota per essere stata teatro di un eccidio di partigiani.
La scoperta delle prime pagliuzze d’oro risale all’epoca romana nelle acque del Gorzente, ed ancora oggi sono campo di battaglia per inesuribili cercatori d’oro. Molti sono i torrenti che alimentano i Laghi artificiali, il Piota, il Gorzente, il Lemme lo Stura, il Lavagnina.
La storia medioevale di queste zone ricalca di molto quelle già descritte per le valli Curone e Staffora, ma vale la pena ricordare le già citate Vie del Sale usate anche dai pellegrini che deviavano dalla via Postumia dove, i Signori della valle Scrivia, imponevano pesanti pedaggi, che costringevano i carovanieri a creare nuove vie di passaggio per il genovese. Se abbiamo la fortuna di fare un giro attraverso i numerosi sentieri di collegamento, possiamo notare che le vette del Monte Tobbio, del Monte delle Figne, del Monte Leco e del Monte Pracaban, che compongono l’assetto montuoso del Parco, sono spoglie di vegetazione, questo si spiega con il fatto che il legname è stato tagliato ed anche sfruttato per la costruzione delle flotte genovesi, se poi ci mettiamo il fatto che il vento da queste parti è sempre molto sostenuto, capiamo perché la nuova crescita di vegetazione è molto difficoltosa. Torniamo per un attimo al nome del parco “le Capanne di Marcarolo”, non ci vuole molto a capire le origini del nome. In tutto il Parco si possono notare case isolate e piccoli borghi di origine contadina, dalla antica caratteristica forma a capanna. Se guardiamo poi la cartina del Parco (recuperabile dai punti di informazione del Parco) si possono notare una serie di nomi di queste costruzioni, chiamate “cascine”, oggi in piena rivalutazione e recupero da parte di tanti privati che qui trovano grandi spazi verdi immersi nel verde della vegetazione. Le tante cascine sono collegate tra loro da larghe carrarecce che permettono ai tanti bikers di raggiungere i punti più importanti del parco, al limite dei sentieri che raggiungono le già citate vette montuose del Parco. Ma ciò che appassiona gli amanti della bicicletta da montagna sono i tanti sentieri che partono appunto dalle vette più alte per raggiungere i paesi posti lungo le valli sottostanti. La rete dei sentieri del parco si presta moltissimo ad escursioni invernali. Sterrate che anche dopo poche ore assorbono piogge anche torrenziali, dalle più svariate conformazioni insomma un vero paradiso della MTB. L’ambiente è quello dell’Appennino Ligure anche se in alcuni punti, ad esempio le zone intorno al Monte Tobbio hanno un sapore che ho riscontrato solo nelle valli piemontesi, in un ambiente selvaggio, anche se le altitudini non sono proibitive. I percorsi non sono solo nel parco ma partono, verso il parco, anche dalle due valli che lo circondano: la Valle Stura e la Valle Scrivia. Limite a sud è la Alta Via dei Monti Liguri che da accesso ai sentieri, al di là dei gioghi e verso la costa ligure, non inclusi in questa parte di territorio.
La valle del Lemme ha origine dal Passo della Bocchetta. La storia di questa valle ha origini molto antiche. I Romani la usarono come via preferita per gli spostamenti militari. Nel 148 a.C. nacque la Via Postumia, che partiva da Genova, risaliva da Pontedecimo e, attraverso il Passo della Bocchetta, scendeva lungo la Val Lemme. In questo tratto però non seguiva esattamente la valle ma restava sul crinale che porta a Fiaccone, l’odierna Fraconalto. Nei pressi del passo esisteva il “Castelus Alianus”, luogo fortificato fatto costruire dai Romani. La via correva verso il Passo di Castagnola e, attraverso il Monte Porale, scendeva in Valle Scrivia, transitando a Libarna, centro romano di notevole importanza. Gli scavi hanno evidenziato le antiche porte di accesso e la via strata. Teatro e terme confermano una presenza stabile del popolo romano. Probabilmente tra Arquata Scrivia e Serravalle Scrivia le costruzioni odierne hanno seppellito una parte di questa storia. La Via Postumia però durò pochi decenni e, per qualche motivo sconosciuto, probabilmente un’alluvione che distrusse tutto, si pensò di spostare il passaggio verso le Gallie usando una nuova via: la Via Æmilia Scauri che da Vado Ligure (Vada Sabatia) attraverso il Colle di Cadibona, la Valle Bormida, la romana Acqui Terme (Acque Statielle), portava a Tortona dove riprendeva sulla Via Postumia e la Via Emilia Lepidi. Questo ha declassato la via rendendola passaggio locale. È con il XII secolo che i Genovesi, battendo i Saraceni e consolidando il loro predominio sul mare, rivolsero la loro attenzione ai mercati più importanti della pianura, aprendosi le giogaie sulle dorsali dell’Appennino. Una di queste era senza dubbio il Passo della Bocchetta. Il tracciato in questo tratto veniva chiamato della “Veèa”, nome che lascia intendere che esistevano delle vetrerie; una cava per l’approvvigionamento del materiale da fondere e la fornace viene indicata ai piedi del Monte Leco. Una pista senza opere di sostegno, quindi non seguiva più il crinale ma il corso del torrente. Nel 1121 la Repubblica Genovese acquistò Voltaggio e conquistò Gavi, luogo che apriva le vie verso l’Oltregiogo (Monferrato) e la Valle Scrivia verso i mercati del nord. Era il chiaro intento di voler rendere sicure le strade e commerciare direttamente con le famiglie nobili più importanti garantendo privilegi e pedaggi. La via commerciale veniva identificata come la Via della Bocchetta, che deviava dai “Feudi Imperiali”, territorio Obertengo, vasto ma diviso tra tante famiglie nobili che avevano particolare interesse al passaggio sulle loro proprietà dei mulattieri e al conseguente pagamento delle gabelle. Una di queste famiglie era quella dei Malaspina. La via però era scomoda e infestata di rovi e solo verso il 1580 divenne carrettabile e nel XVIII veniva consolidata dal doge Michelangelo Cambiaso di Genova con opere di sostegno e ponti che ancora oggi si possono ammirare. Da Genova alla Val Lemme prese il nome dal doge diventando “Cambiagia”. Il tratto fino a Voltaggio respirava del possesso genovese. Poco sotto il valico esisteva il “Posto dei Corsi”, postazione militare per controllare il passaggio e proteggere le carovane. Nei pressi di Fiaccone e sulla antica Via Postumia c’era un punto di ristoro (Cascina di Ventiporto). L’abitato di Molini mano a mano diventò sempre più importante con mulino e varie locande che servivano da ristoro e sosta. Punto nevralgico della Via della Bocchetta, è in Voltaggio, dove esisteva la Casa dei Grimaldi, appaltatori dell’imposta di pedaggio per conto della Repubblica di Genova. Ancora oggi visibile è posta nel punto strategico di congiunzione tra la Via della Bocchetta, che seguiva la odierna provinciale e la via di crinale proveniente da Fraconalto, e la via che seguiva il Rio Morsone proveniente dai Piani di Praglia, identificata come una delle Vie di Marcarolo (Cabanera). Nei pressi della Casa dei Grimaldi si trova il ponte dei Pagani o dei Paganini, via di passaggio per proseguire il cammino. Altro punto nevralgico della Val Lemme è Gavi: la sua fortezza dominava le vie verso la Valle Scrivia. Gavi acquisì più importanza dopo la conquista dei Genovesi, rendendola di fatto porta verso i mercati lombardi (già Via Postumia) e la Via della Valle Lemme verso i mercati piemontesi. Questa via, anche se non ci sono prove certe, era già solcata dai Romani e si collegava alla Æmilia Scauri nei pressi di Sezzadio passando per Basaluzzo, antica colonia romana. La via divenne parte integrante delle Vie d’Oltregiogo. Per questo motivo Gavi sostituì Voltaggio, diventando sede di pagamento del pedaggio. Tra Gavi e Voltaggio esisteva l’antico feudo di Carrosio, da sempre ostile alla Repubblica di Genova, che a metà del Settecento incaricò l’ingegnere Matteo Vinzoni di predisporre una via che unisse Gavi a Voltaggio senza passare da Carrosio: tale via venne individuata sui monti laterali della Bruseta (la odierna Bruzeta), ma risultò scomoda, tanto da indurre la Repubblica a pagare il pedaggio con venti soldi. La presenza genovese in questo tratto è testimoniata da alcune ville cinquecentesche come la Toledana (Villa Cambiaso già Lercari) e la Centuriona, oggi altrettanto magnifici luoghi di produzione del Cortese di Gavi. La Valle Lemme perse man mano importanza con l’apertura della Strada Regia dei Giovi (completata nel 1823) che portava a Genova attraverso il Passo dei Giovi. Gavi, Carrosio e Voltaggio rimasero quindi escluse dalle importanti direttrici di traffico fra Genova e il retroterra, comportando l’abbandono della Bocchetta e l’isolamento della Valle del Lemme. Anche Novi rimase al margine di questa nuova direttrice, che segna la rivincita della Valle Scrivia e in particolare di Arquata e Serravalle, che acquisirono tutto il commercio di spedizione. I paesi della Val Lemme persero la loro peculiarità di passaggio commerciale, ma acquisirono la importante fascia del movimento turistico. Restando nel parco con i due paesi di Voltaggio e Fraconalto si prosegue con i due paesi rimanenti della Valle Lemme: Gavi e Carrosio.
Itinerari dai Laghi del Gorzente
Lago Lungo (o Bigio)
Lago Badana (de Föggiariônda)
Lago Bruno (o Lavezze)
Nell’ultimo quarto di secolo il paesaggio dell’Alta Valle del Gorzente è sconvolto dalla costruzione di tre laghi artificiali ai quali si aggiunge il bacino della Lavagnina. Siamo nel cuore del parco, ricco di torrenti e rii che, per la maggior parte, si gettano nelle acque limpide del Gorzente.
Negli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia (1861), la lenta ma costante crescita demografica di Genova imponeva di rivedere la strategia di approvvigionamento idrico, fino a quel momento limitata agli apporti della vecchia condotta di origine medievale e dell’acquedotto Nicolay. Questo, sebbene fosse stato realizzato pochi anni prima, era già insufficiente a coprire le necessità imposte dall’espansione industriale in atto in Val Polcevera. Per sopperire a tali necessità furono proposte alcune soluzioni, tra le quali un progetto riguardante la valle del Gorzente, elaborato dagli ingegneri Nicolò Bruno e Stefano Grillo. L’impluvio del Gorzente, nella parte più elevata della valle, era scarsamente abitato, comprendeva poche terre produttive. Del resto si stava verificando un importante abbandono delle cascine un tempo adibite allo sfruttamento dei pascoli e dei boschi. Quindi il luogo scelto aveva molti requisiti per questo tipo di costruzione, oltre al fatto che era molto vicino alle Valli Verde e Polcevera. Argomento ulteriore alla scelta era che qui le precipitazioni, create dal contrasto termico tra il golfo ligure e le terre al di là del crinale appenninico, erano abbondanti. Le problematiche però erano tante, legate ad alcune controversie con alcuni proprietari terrieri ma anche, e sopratutto, per questioni di mancanza di fondi. Con la proroga della concessione fino al 1879, una società belga accettò di impegnarsi per i 4/5 del valore attribuito alla concessione, al quale si unirono alcuni imprenditori genovesi con capitali privati. Sulla spinta dei capitali stranieri e dell’adesione degli industriali si mossero finalmente i finanzieri cittadini e in particolare il marchese Lazzaro Negrotto Cambiaso e Antonio Bigio, rispettivamente presidente e vicepresidente della Banca Provinciale. Il 12 febbraio 1880, riacquistati due terzi della quota del gruppo belga, veniva costituita la “Società anonima Acquedotto De Ferrari Galliera” per la riorganizzazione dell’approvvigionamento idrico di Genova e il rilancio dell’industria in Val Verde. La Società dovette risolvere le controversie e fu costretta a scendere a patti con i proprietari dei terreni, le cui richieste erano esagerate rispetto al valore commerciale di terreni acquistati per poche lire da alcuni privati che avevano intravisto un’allettante prospettiva di speculazione. A queste difficoltà si aggiunsero le opposizioni degli utenti di fondo valle del Gorzente, compresi altri proprietari che, pur avendo diritti formali sull’attingimento delle acque, non se ne avvalevano da molto tempo. Anche i comuni della Val d’Orba attraversati dalle acque provenienti dal Gorzente si opposero al progetto. Gran parte dei contenziosi fu risolta con una transazione soddisfacente per proprietari e Comuni, comunque per evitare rischi di decremento della media portata del torrente. Fin dal 1873 il Ministero aveva imposto di integrare il progetto con la costruzione di un serbatoio di compensazione sul Rio Lavagnin: ecco spiegata l’aggiunta dell’odierno Lago della Lavagnina. Le difficoltà aumentarono perché la popolazione dovette subire seri disagi per il continuo transito di carri pesanti e il conseguente dissesto delle strade. Per la costruzione arrivarono centinaia di manovali (soprattutto sterratori) provenienti dal basso Piemonte e dal Veneto. Questo aveva provocato un ulteriore disagio perché la domenica si riversavano nelle osterie e nelle balere di Isoverde, generando immaginabili attriti e problemi di convivenza. Come sempre quando si modifica radicalmente il territorio le conseguenze sono profonde dal punto di vista sociale, economico e ambientale, con una drastica ridefinizione dell’assetto e degli equilibri ecologici. Ora le acque limpide dei laghi fanno parte della bellezza di questi luoghi e sono una importante risorsa paesaggistica di cui possono godere gli escursionisti.
Laghi della Lavagnina
Lago artificiale che divide le sorti costruttive dei Laghi del Gorzente. Da qui partono alcuni itinerari che portano verso Lerma e Casaleggio Boiro e, dalla parte opposta, si unisce agli itinerari che partono dalla Cascina Cirimilla. Si tratta di due invasi artificiali situati in territorio piemontese, lungo il basso corso del Torrente Gorzente, la cui costruzione è diretta conseguenza della costruzione dei Laghi del Gorzente più a monte. Infatti, nel 1884, a causa della costruzione del primo invaso del Gorzente (il Lago Bruno), le genti della parte bassa della valle – e in particolare i proprietari dei numerosi mulini – iniziarono a lamentarsi a causa del ridotto apporto idrico del torrente. La società dell’Acquedotto de Ferrari-Galliera decise di costruire un invaso nella parte bassa per compensare. Quindi venne completato il Lago Superiore della Lavagnina, con una diga ad arco alta 15 metri; la riserva d’acqua doveva servire appunto a garantire un minimo deflusso per gli abitanti della bassa valle anche nei periodi di magra. Il Lago Superiore andò incontro subito a evidenti problemi di interramento (anche perché la società stimò un interramento medio di 600 mc all’anno, quando quello reale era di 20000 mc all’anno), e presto diventò praticamente inutilizzabile. Oggi il Lago Superiore esiste ancora, anche se quasi completamente interrato (la profondità massima è di soli 3 m, la media è decisamente inferiore), e viene utilizzato come bacino di sedimentazione per preservare il Lago Inferiore dal riempimento. Con il Lago Superiore ormai inutilizzabile già all’inizio del ’900, era evidente la necessità di costruire un secondo bacino artificiale per continuare a garantire i servizi agli abitanti della valle. Così, tra il 1911 e il 1917 venne eretta la diga del Lago Inferiore della Lavagnina: si tratta di una diga a gravità massiccia, alta 34 metri, che trattiene un lago artificiale esteso per circa 170.000 mq. Il lago, oltre che per la fornitura di acqua potabile, viene utilizzato anche per la produzione di energia elettrica nella centrale subito a valle (che sfrutta anche una condotta forzata proveniente dalla valle del Torrente Piota); parte dell’energia elettrica viene poi trasferita sul versante marittimo dell’Appennino Ligure, alla centrale di Gallaneto. All’abbassamento programmato del livello del lago emergono dai bassi fondali i ruderi un piccolo insediamento.
La vallata prende il nome del torrente che non è l’unico a chiamarsi così. Il tratto di Valle Stura che a noi interessa è l’alto bacino che parte da Masone e arriva a Ovada. Nasce dal Monte Orditano nei pressi dei Piani di Praglia e muore nell’Olba. Partiamo dal Passo del Turchino, punto di incontro con la Alta Via dei Monti Liguri. La Valle Stura, nel ’600, era caratterizzata dalla presenza di molte ferriere, situate per la maggior parte sul fondo valle per sfruttare la forza del torrente che dovevano alimentare i magli. Questo generava anche un indotto che ruotava attorno alle ferriere. Non solo, ma da qui transitavano anche le carovane di muli in marcia verso Voltri per il trasporto del minerale, smistato a Masone e usato alla trasformazione del ferro in utensili e chiodi. Le ferriere avevano un incubo, le piene dello Stura che hanno messo a dura prova le genti, tanto che dal ’700 all’800 si vide la inesorabile decadenza tanto che oggi non ce n’è più traccia. Restano i toponimi e i ricordi delle genti. Il primo paese che si incontra è San Pietro, punto dove lo Stura volge verso Nord. Ci affacciamo quindi a Masone paese di origine antiche; il toponimo deriva da castrum mansionis, da castrum “accampamento” e mansionis “stazione di posta”. Quindi si presume fosse luogo di sosta per le legioni romane. Ma come è accaduto spesso sull’Appennino Ligure a ridosso della costa, si può andare più indietro con il tempo e ai Liguri che, come risulta dai tanti ritrovamenti, hanno abitato queste zone. La località di Cappelletta di Masone è posizionata in un punto privilegiato a terrazza sulla Valle Stura. Cappelletta è inoltre posizionata sulla via per il Passo del Turchino, il Giovo di Masone e Passo della Canellona, tre passi che hanno visto il passaggio di tanti mulattieri o trasportatori di materie prime come gli stracci per ricavarne la carta. Ma proseguiamo e arriviamo a Campo Ligure (anticamente Campofreddo) allineato sulla la strada provinciale. Il paese è posto alla confluenza allo Stura del Ponzema e del Langassino che ne danno una protezione naturale. Il castello è posto a difesa, ai suoi piedi una piazza dove si faceva mercato. Le vicende di Campo Ligure si perdono nella notte dei tempi e, nel periodo feudale, fu sempre conteso tra i feudatari della marca Obertenga e Aleramica. Poi vi furono contese tra i feudatari fedeli alla causa imperiale e la Repubblica Genovese. Anfraone Spinola ottenne dall’Impero l’investitura di feudatario e Campo batte moneta propria diventando anche punto di incontro tra i commerci del Monferrato e la Repubblica Genovese. Degli antichi magli e delle botteghe dei chiodaroli ha raccolto in eredità l’arte della filigrana, importata nel 1884, anno in cui il paese cambiò il nome di Campofreddo in Campoligure. Artigianato di grande importanza, esportato in tutto il mondo.
Per quanto ci riguarda tratteremo solo la Alta Valle Scrivia, L’intero percorso della valle è stata una delle più importanti valli usata dai Romani ma anche in periodo medievale. Nasce dal Monte Prelà e si getta nel Fiume Po nei pressi di Castelnuovo Scrivia. Lungo il Torrente Scrivia si è scritta una delle pagine più importanti di queste zone. I Romani la usarono per gli spostamenti militari con l’apertura della Via Postumia. A Tortona vi era la deviazione più importante che portava le milizie verso est lungo la Pianura Padana a percorrere al fianco del Fiume Po la Via Emilia Lepidi, per poi raggiungere Aquileia. Ma Tortona è stata anche la via di svincolo della via Æmilia Scauri (poi Julia Augusta) che proveniva dalla Val Bormida e dalla romana Acqui Terme. Lungo questa direttrice invece in epoca medievale si muovevano i mulattieri e i commercianti che avevano in Genova il loro punto di riferimento. Nella valle Scrivia si svilupparono notevoli centri di strade provenienti da altre valli e conseguenti vie di comunicazione. Gli elementi – strada, castello e borgo – che si ritrovano in tutti i centri più importanti della Valle Scrivia, rappresentano la sintesi del centro medievale di strada. I castelli della Valle Scrivia risultano essere sorti soprattutto in funzione del controllo degli itinerari più facili e obbligati e in posizione dominante rispetto a un villaggio quasi sempre preesistente e che già sfruttava possibilità commerciali offerte dal passaggio delle vie di comunicazione. Importante è l’isola di Precipiano (isola in quanto situata alla confluenza del Borbera nello Scrivia-oggi Villa Cauvin), sede di un castello e di un monastero. Il nostro percorso si limita a quest’ultima località, ma la Valle Scrivia poco più avanti si apriva a molte possibilità di arrivare a Genova. Abbiamo già detto del Passo dei Giovi, ma a Ponte Savignone e Casella, provenienti da Crocefieschi e Savignone, si aprivano le vie verso altri due valichi: il Passo del Pertuso, dove si trova il Santuario di Nostra Signora della Vittoria, probabile passaggio del Re Liutprando per il recupero delle spoglie di Sant’Agostino; il Passo della Crocetta di Orero, lungo la Via della Salata (o dei Feudi Imperiali); verso Montoggio e Torriglia dove dal Monte Prelà si trovano le sorgenti della Torrente Scrivia, ma anche del Fiume Trebbia. Siamo vicini al Passo della Scoffera, altro storico passaggio per i mulattieri provenienti dalla vicina Val Trebbia. Il Monte Prelà regala anche le sorgenti al Fiume Trebbia, ma questa è già un’altra storia.
Andremo a visualizzare i paesi che compongono il Parco delle Capanne di Marcarolo e delle valli Stura e Scrivia che sono interessati agli itinerari proposti
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